Diritto al lavoro e dovere della memoria dovrebbero caratterizzare la giornata del Primo Maggio. Il tema del diritto al lavoro è quanto mai attuale alle porte di una crisi economica che sarà senza precedenti, dopo l’emergenza mondiale del Covid 19. Ma da questa crisi potremmo uscire rafforzati se nel prossimo futuro ripensassimo il modo di lavorare, partendo dall’assunto che tutti hanno il diritto e il dovere di lavorare.
Vengono in mente le parole di Sandro Pertini, nostro amato Presidente della Repubblica dal 1978 al 1985: “Secondo lei un uomo senza lavoro, che ha fame, che vive nella miseria, che è umiliato perché non può mantenere i propri figli, questo per lei è un uomo libero? No, che non lo è. Sarà libero di imprecare, ma questa non è la libertà che intendo io. La libertà senza giustizia sociale è una conquista vana”. Sarebbe utile al paese se i politici di oggi rileggessero ogni tanto quello che i padri fondatori del nostro paese hanno detto. Scoprirebbero l’attualità dei loro pensieri.
A questo proposito vorrei ricordare le parole di un altro autorevole personaggio della nostra storia, bracciante e poi sindacalista e politico, Giuseppe Di Vittorio: “Il lavoro è creatore di beni; il lavoro eleva gli uomini, li rende migliori e li affratella; il lavoro è pace. Il Primo Maggio, i lavoratori d’Italia e del mondo, esaltando il lavoro, ribadiscono la loro volontà di pace e riconfermano solennemente il Patto della loro solidarietà internazionale al di sopra di ogni frontiera di nazioni, di sistemi politici e sociali di razze e di religioni. Tutti fratelli gli uomini e le donne del lavoro”.
La festa del Primo Maggio divenne ufficiale in Europa a partire dal 1889. In Italia fu introdotta nel 1891 e subito fortemente osteggiata dalla classe imprenditoriale. Nel 1913 in Puglia, ad Andria, si svolse un’importantissima e partecipata manifestazione, accompagnata dalla banda, che divenne un esempio per le città operaie del nord. Il governo fascista spostò la ricorrenza al 21 aprile, in coincidenza del natale di Roma. Nel 1945 la ricorrenza tornò al primo maggio diventando festa nazionale.
Ma fu il Primo Maggio 1947 la pagina più sanguinosa con la Strage di Portella della Ginestra, una strage di contadini che manifestavano per la riforma agraria, che inaugurò la stagione delle stragi mafiose che durerà per decenni, come sappiamo. La cronaca dell’epoca ricorda: ”Era una bella giornata il Primo Maggio del 1947 a Portella della Ginestra, nell’entroterra palermitano, tra Piana degli Albanesi e San Giuseppe Iato. Quasi duemila tra contadini e braccianti di una Sicilia povera e disperata si erano dati appuntamento sui prati a ottocento metri di quota per celebrare la festa dei lavoratori, ascoltare un comizio sindacale e, soprattutto, passare una giornata in allegria con pranzo finale all’aria aperta. Una folla inerme di lavoratori, donne, bambini e anziani, fu bersagliata dalle raffiche di mitra della banda di Salvatore Giuliano: undici persone uccise, tra cui due bambini, più una sessantina di feriti”. Una pagina di storia del nostro paese che non può essere dimenticata, una delle stragi italiane che non hanno trovato giustizia.
Oggi per molti, soprattutto per i giovani, il Primo Maggio è il concertone di Roma, promosso dai sindacati, che dal 1990 trasforma Piazza San Giovanni in Laterano a Roma in una grande manifestazione a cielo aperto. In epoca di coronavirus questo Primo Maggio “tutti a casa” avrà certo un significato molto diverso, perché molti cittadini sono rimasti senza lavoro e solo i più fortunati ricevono un sussidio per andare avanti. Auguriamoci che la politica, non solo quella nazionale, sappia ripensare il nostro prossimo futuro e dare finalmente un significato all’articolo uno della nostra meravigliosa Costituzione “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
Giuseppe Manzo